giovedì 28 giugno 2007

Asset allocation: una fugace premessa

E’ da oltre una settimana che ho deciso di scrivere di asset allocation. Anzi, a voler essere precisi, è dal 19 giugno, quando, nel mettere assieme il mio post Confronti: l’investor education, sono incappato nella ricerca di Borsa Italiana su Investitori retail e Borsa.

Una parte che allora non ho citato riguarda la diversificazione (o meglio, la mancanza di diversificazione) nei portafogli degli italiani.

Dice il rapporto:

“Complessivamente, il 19,7% delle famiglie (italiane, ndr) nel corso del triennio 2001-2003 ha detenuto, acquistato o venduto strumenti azionari.”[…]

“Più della metà degli intervistati si ritiene a vario titolo un investitore ‘conservatore’”.[…]

“La detenzione diretta di azioni, in gran parte domestiche, assorbe circa un quarto della ricchezza finanziaria complessiva” (considerando anche l’investimento azionario indiretto attraverso fondi la detenzione di equity raggiunge il 31,7%, e risulta la seconda asset class per peso relativo in portafoglio dopo la liquidità). […]

“I dati di dettaglio rivelano come tale quota sia raggiunta investendo in un numero ridotto di titoli, attraverso portafogli molto concentrati. Il 93,5% degli investitori in azioni italiane possiede meno di 5 titoli, e 3 su 4 circa ne possiedono al massimo due.” (Queste azioni sono per l’84,1% Blue Chip, per il 7,2% mid & small caps, e per l’8,7% azioni dell’ex-Nuovo Mercato, una percentuale che pur essendo scesa di molto rispetto al 2001, resta nettamente sopra la sua quota di capitalizzazione complessiva, pari all’1,7%).

Purtroppo, e in una parola, si tratta di una gestione dei portafogli dissennata: troppo concentrati, troppo italiani, troppo sovrappesati sulle rischiosissime micro-cap dell’ex-Nuovo mercato.

E c’è pure una metà e passa del campione che si considera un investitore “conservatore”. Per certi versi conservatori lo sono sin troppo, nel senso che la preferenza per la liquidità è in genere eccessiva. Ma per la parte di investimento azionario, è evidente che molti non hanno idea dei rischi che corrono.

C’è dunque un bisogno enorme di parlare di asset allocation, di capire cos’è, a cosa serve, e come si fa.

Il libro migliore che io abbia letto a questo proposito è The Intelligent Asset Allocator di William Bernstein, un lavoro di grande valore divulgativo e giustamente famoso negli Usa, ma, temo, sconosciuto o quasi da noi.

Pubblicato 6 anni fa, non è mai stato tradotto in italiano. Ed è anche assente, per quel che ho potuto verificare, dai cataloghi di editori italiani che vendono opere in lingua inglese. E’ disponibile, su CDbox.it, la versione CD del libro, ma a un prezzo che sconsiglio. Molto meglio approfittare del dollaro debole e della ben più economica offerta di Amazon.com.

Ritornerò dunque quanto prima al libro di Bernstein per riflettere sulle sue lezioni più importanti e capire come si può diventare un “allocatore intelligente”.

Ma ora come ora avverto l’urgenza di seguire un altro treno di pensieri, spuntato inatteso mentre mi facevo la barba…E siccome, al momento, una delle regole non scritte di questo blog è che la spontaneità viene prima della programmazione, procedo rapidamente oltre, prima che il treno di pensieri inattesi scompaia nella nebbia da cui è venuto.

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